RSS

Silvia Castellani

Tra l'essere e il fare, c'è di mezzo il pensare

Breve trattato sulla paura (per coloro che hanno paura, ma anche per coloro che non ne hanno. Così possono “sentire” chi ce l’ha). Parte seconda: la paura del giudizio altrui in fase esposizione pubblica del proprio pensiero

Una foto qualunque- foto di Silvia Castellani

La paura del giudizio altrui, quando si sa che il giudizio è inevitabile. Allora qui la casistica è variegata, complessa e ingrata. Quando uno è convinto del suo pensiero e non si lascia influenzare dalle logiche del branco, siamo già a buon punto. Però poi quel pensiero bisogna esprimerlo, bisogna misurarsi con l’altro collettivo, bisogna esporsi. E qui son cazzi. Prendete me che questo pensiero lo devo esplicitare per iscritto perché di persona ho delle difficoltà rilevanti. Non perché dubito del mio pensiero ma perché quando devi esplicitarlo, questo pensiero deve essere convincente e io non sono capace a renderlo tale. Dunque mettiamo che tu devi parlare a un pubblico. Perché se devi parlare nel tuo circolo di amici, è semplice. Lì puoi contare sulla conoscenza e il rispetto che nutrono ragionevolmente nei tuoi confronti. Ma se tu devi esplicitare il tuo pensiero a chi non ti conosce, come si fa? Un tempo mi capitò di frequentare un corso di comunicazione dove c’era un modulo che si preoccupava di insegnarti a parlare in pubblico, magari a una conferenza per fare un semplice esempio. Allora lì c’erano tutte delle regole consigliate per la postura, per l’intonazione della voce, per le pause e via discorrendo. Ora che ci ripenso, la risposta è che solo l’esperienza e/o l’esercizio ripetuto ti possono insegnare a vincere la paura del giudizio conseguente all’esposizione collettiva del pensiero. Perché se tu diventi rosso, e questo è evidente a tutti, non lo nascondi. Puoi al limite controllare la gesticolazione delle mani. Ti tieni una penna tra le dita e torturi quella. Ma se balbetti o la voce non esce o esce male? Fai una figura di merda. E il giudizio è negativo. Anche se sei convinto della positività  del tuo pensiero. Questa paura è pura vertigine e chi, come me, è molto emotivo, deve farci i conti. Ho visto persone preparatissime prendere voti bassi agli esami universitari a causa di una forte emotività, ho visto amici espansivi diventare timidissimi su un palcoscenico, ho visto me stessa perdere così tante volte in fase “esposizione del pensiero” che ho concluso quanto segue: è necessario per chi si blocca, diciamo, nell’esposizione del pensiero, scriverlo questo pensiero e leggerlo. Così il foglio crea un filtro tra  il chi sconosciuto e molteplice che ti ascolta e tu che sei concentrato nella lettura e le parole sono tutte lì e non ti sfuggono. Il secondo passo è imparare a recitare il tuo pensiero. Diventa una questione teatrale, se vuoi, ma necessaria. Se io recito il mio pensiero, il pensiero si rafforza attraverso la memoria. Il pensiero acquista in una certa misura la forza della finzione. E mentre recito, mi dimentico che lo sto esponendo. O, anche se me lo dovessi ricordare, ormai la recita è partita e qualche tratto positivo del mio pensiero l’ho espresso. Io sono in fase lettura del mio pensiero, nel senso che devo averlo scritto per esporlo a un  molteplice. Mi devo decidere a passare alla fase finale, quella della preparazione del pensiero che voglio esporre e sua esposizione recitata. Dovevo fare teatro, io, nella mia vita, e ci avevo pensato più volte al liceo, ma poi è successo che mi sono distratta. Ero in sovrappensiero. Ascoltavo il silenzio e scrivevo. E ora, dopo molti anni, mi trovo con pile di “silviasovrapensiero”da esprimere ed una emotività interpersonale elevata. In parte credo per tutto il silenzio che ho frequentato. Ora ho parole e pensieri sicuri ma il rapporto con l’altro ignoto e multiplo non so gestirlo. Penso a Cicerone, Demostene, Esopo, Virgilio che erano balbuzienti. Lo stesso Franco Battiato nelle sue prime interviste (dove doveva esporre il suo pensiero) pare balbettasse. Questo del balbettare è discorso a sè certo, ma pur sempre di impedimento all’esposizione del pensiero. Il pensiero non esce, e se esce male non convince e se non convince non si fa ascoltare e se non si fa ascoltare è come rimanesse inespresso. Un ultimo pensiero ad Alda Merini che pare avesse delle difficoltà legate allo stare in pubblico. Vorrà dire, caro amico, che inizierò a recitare il mio pensiero. Se arriverò alla conclusione di non essere in grado di esporlo degnamente, fallo tu per me. Tu ovvero voi, lo you inglese docet, che non avete paura e che lo condividete, grazie alla scrittura con cui posso relazionarmi con quel “contrario di uno, quell’alleanza, filo doppio che non è spezzato”. Fatelo voi un giorno per me, se non sarò riuscita a superare questo mio enorme limite che credo abbia a che fare con il corpo e il suo rumore. Ma questo è un’altra storia e un altro capitolo di questo breve trattato sulla paura.

This entry was posted on giovedì, febbraio 25th, 2010 at 11:48 and is filed under Senza categoria. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

Leave a Reply





XHTML: You can use these tags: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>