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Silvia Castellani

Tra l'essere e il fare, c'è di mezzo il pensare

Archive for ottobre, 2008

Ho detto no al “pacchettismo”

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ottobre 31st, 2008 Posted 17:22

Qualche ora fa ho rifiutato un lavoro da pacchettista. Ripeto: pacchettista. Potete immaginare cosa voglia dire. Il Natale non è poi così lontano. Io avrei avuto anche bisogno di quello sporco lavoro da pacchettista. Ma l’idea di “fare e consegnare pacchi” al mio prossimo mi disturbava troppo. Io non sono una pacchettista, qualunque cosa questo termine, la cui pronuncia ti spezza la lingua, significhi.

Non esageriamo. Ma cerchiamo di minimizzare. Oppure (meglio) di fare qualcosa

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ottobre 29th, 2008 Posted 23:56

Suono al campanello di un’ agenzia di comunicazione dove un paio di settimane fa ho lasciato il curriculum. Suono perché sto passando di lì e perché quello che so e voglio fare, è comunicare. Buonasera, dico, e mi presento. Spiego in dieci secondi cosa vorrei. Vorrei parlare de visu con un responsabile, vorrei prendere un appuntamento per un colloquio, vorrei qualcosa di umano. La porta non si apre. Un babbuino dislessico e snob emette suoni attraverso il citofono: “no, ora, non so…non è…Guardi le conviene chiamare”. Conviene a chi? penso. Dico, con la bocca appiccicata al citofono con lo scemo dentro: “senta, non è possibile fissare un appuntamento ora?” “No, guardi, per ora, ecco diciamo che le conviene chiamare”. E due. Questo non ha idee in testa, ma solo la promozione del supermercato vicino a casa sua dove fare la spesa di sicuro gli conviene. Guardo la strada fradicia. Piove. Sono tentata di dirgli: “d’accordo. allora adesso ci salutiamo e salutiamo anche il citofono e poi prendo il cellulare e fra un minuto ti chiamo da questo marciapiede per fissare un appuntamento con il responsabile, se questo cavolo di telefonata ti cambia la vita”. Poi, questa volta in tre secondi, con la porta rimastami chiusa in faccia, decido che non voglio rispondere all’incapacità di comunicare con uguale moneta. Salgo al volo sull’autobus e dopo qualche minuto l’autista ferma il mezzo (attenzione. ho detto “il mezzo”) e dice: “Signori, attenti ai portafogli. Ho visto dei movimenti ben strani”. Ovazione. Per la comunicazione dell’autista. Una donna che dice: “proprio così. ho ben visto io”. E ma allora sei fetente, donna. Cosa aspettavi, la comunicazione dell’autista? Paura di prendersi una coltellata. Può ben darsi. Ben ben. Beng beng. Torno all’accampamento militare (vedi il post “Basta poco”) e mentre cammino ascolto cosa si dicono gli altri intorno a me. Le donne, visto che è buio, tendono ad accelerare la camminata quando sentono un passo pesante alle spalle come quello prodotto dai miei stivali, per esempio. E alcune si voltano. Altre camminano con la testa bassa, perché ora sono in periferia e non c’è quasi più nessuno in giro. Anche se non è tardissimo. Vicino alla chiesa noto un bambino con una chitarra a tracolla. La madre, che lo accompagna, gli sorride. Penso che esistono piccoli bagliori di luce qua e là. Io li vedo e sono certa che un giorno l’arte ci salverà tutti. Nonché la vera comunicazione, come quella dell’autista di autobus.

Basta poco

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ottobre 27th, 2008 Posted 19:37

Mi è tornato il buonumore tutto d’un botto. Mica perchè sia successo qualcosa di positivo. Ma va’. Mi è tornato così, all’improvviso, nel momento in cui ho pensato che basta guardarsi intorno per accorgersi che esiste ancora la bellezza. Strano pensiero, visto che stavo dormendo e quando ho riaperto gli occhi ho visto una stanza incasinata (che mi vede ospite provvisoria in attesa di trovare una migliore sistemazione a Bologna dove ho deciso di trasferirmi per un periodo) simile ad un accampamento militare. Sarà stata la musica salentina che ancora adesso esce a palla dallo stereo dei vicini che sì, mi avrà anche svegliata, ma mi è entrata nelle vene mentre ero in fase rem e mi ha ridato un botto d’energia.

ps: sto scrivendo cose tipo: “un botto” e “a palla”. E’ proprio vero che gli stenti mi fanno male e mi fanno perdere l’uso della lingua italiana. Spero di andarmene presto da questo “accampamento militare” anche se mi dispiace per la Fra e la Vale che mi hanno accolta “alla grande” praticamente senza conoscermi. Mi hanno aperto la porta di casa sulla fiducia. E non è poco.

La medusa molle

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ottobre 27th, 2008 Posted 18:11

La medusa molle - foto di Silvia castellani

Ci risiamo. Sto attraversando l’ennesimo blocco emotivo della massima potenza. Scrivo e distruggo, scrivo e cancello, scrivo e mi angoscio. Vago, cerco, qualcosa trovo, ma non afferro. Brancolo nella schiera delle infinite possibilità senza poter concretizzare. Stringo le mani, non sento niente e mi viene da dare un cazzotto sul tavolo. Fingo di rassegnarmi ma non è vero. Combatto in sordina contro me stessa. Perchè devo dire qualcosa che ancora non vuole manifestarsi. Gli altri li vedo, ma non li sento. Sembro autistica, eppure sono vigile. Come ieri mentre facevo lo schizzo della medusa molle.

La nostra giustificazione, se ne abbiamo una, è di parlare in nome di tutti coloro che non possono farlo.

Albert Camus

La pensatrice cre-attiva (vizi d’arte, vizi d’ammore)

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ottobre 19th, 2008 Posted 17:31

« Per quale ruolo si propone ? » Mi hanno fatto questa domanda, un paio di giorni fa, ad un colloquio di lavoro presso una casa editrice. Ho avuto cinque secondi di panico perché non sapevo cosa rispondere. O meglio, io un’idea ce l’avevo ma se l’avessi sparata in faccia alla persona che mi stava esaminando, li avrebbe avuti lei cinque secondi di panico. Mi sono tolta dall’impasse facendo mente locale ad alta voce di quanto avevo fatto lavorativamente parlando e alla fine del ragionamento ho concluso : « insomma, sono flessibile. Mi presto a molti ruoli. Diciamo che non sono una grafica ». Intanto nel cervello mi rimbombava il motivetto di un cantautore italiano, Carlo Fava, che si intitola « L’uomo flessibile » e che dice : « Io domino perché mi muovo veloce. Sono fluido, elusivo, disimpegnato. Forse sono un po’ più furbo che intelligente. Insomma, sono un uomo moderno, ma talmente moderno che sono convinto che la società non esiste. E se esiste, non me ne frega niente ».
Se avessi detto a quella persona la metà di quanto mi girava in testa, avrebbe pensato che sono fuori di testa. E avrebbe pensato male. Spero possa arrivare presto il giorno in cui potrò dire, senza mezzi termini, che sono una pensatrice cre-attiva.

Sono lusingata. Per non dire allibita

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ottobre 18th, 2008 Posted 01:14

Oggi, o forse dovrei dire ieri, su questo blog sono passate a dare un’occhiata a quello che scrivo ben 57 persone. Mi vien solo da dirvi: porca vacca, che onore. Non avrei mai immaginato un’accoglienza del genere. Grazie a tutti. E vi prego, se avete qualcosa da dire, fatelo. Sperando che non sia un vaffanculo. In caso, comunque, non lo cancellerò dai commenti. Qualche insulto, ogni tanto, fa bene.

E oggi concludo con questa frase in cui ho inciampato “navigando”:

“Cercando la parola si trovano i pensieri”

Joseph Joubert

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Il codice dell’anima

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ottobre 16th, 2008 Posted 23:43

Immagine 2

In questi giorni ho da fare con la mia ghianda ma per spiegare di cosa si tratta senza cadere nella banalità o, ancor peggio, nell’errore, rimanderò il discorso a un momento migliore, un momento in cui avrò, non dico capito, ma quantomeno afferrato il senso di quanto scritto da Hillman. Oggi mi sento solo uno scoiattolo tipo Scrat dell’Era Glaciale, per capirci. Ho questa ghianda per le mani che continuo a stringere per paura di perderla. E così quella mi cade non so dove e vado in paranoia. Poi comunque la ritrovo sta benedetta ghianda e allora la stringo più forte, ma ancora lei mi sfugge e sono da capo. Una vita per di qua e per di là, un continuo via vai dietro alla ghianda. E non posso farne a meno. Si vede che sono contenta così, ad affannarmi dietro al mio daimon. Sarà vero, per dirla con Eraclito, che il carattere di un uomo è il suo destino? Se è così, come io credo, sarà utile che mi dia una calmata prima che la mia ghianda mi cada in testa e mi sotterri. No, dico per dire. Perchè la mia ghianda è una roba grossa, una ghiandona di una quintalata… Non so la vostra.

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ottobre 13th, 2008 Posted 13:18

Oggi devo prendere una decisione seria. Oggi devo cambiare ancora una volta le carte in tavola. Oggi devo capire, una volta in più, che la mia vita è un turbine senza sosta. Non ho detto senza pace. Ho detto senza sosta.
C’è quel manifesto attacato al muro della mia stanza. Un ragazzo di colore con gli occhi a terra e il viso attaccato al microfono che stringe nella mano. Una scritta di lato dice : « Me lo diceva anche Oliver Stone. Non sederti mai. Tenta sempre il meglio ». Io faccio parte di quel manifesto. Dell’aria che si vede dentro quel manifesto. Sono sulla sedia alle spalle del ragazzo di colore. Laggiù. Dove è buio. Per questo tu non mi vedi. Ma oggi è proprio arrivato il momento di alzarsi. Di togliersi dalle tenebre.

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Accetta il consiglio

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ottobre 10th, 2008 Posted 14:19

Ad ognuno di noi sarà capitato, almeno una volta nella vita, di dare o ricevere un consiglio. Aimè. Il consiglio, infatti, è estremamente pericoloso, specie se non richiesto. Eppure c’è anche chi, del dare consigli, ha fatto una vera e propria ragione di vita. Leo Longanesi disse : « Non datemi consigli : so sbagliare da me » e, ancora, De Andrè, nella celeberrima « Bocca di rosa » cantava : « Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio, si sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare il cattivo esempio ». E gli esempi illustri potrebbero continuare. C’è però un film « The big kahuna », tradotto « il pezzo grosso », dove Danny De Vito, sul finire del film, si lancia in un bel discorso, in un buon consiglio.
Il passo che mi è piaciuto di più :

« Sii cauto nell’accettare consigli, ma sii paziente con chi li dispensa. I consigli sono una forma di nostalgia. Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo, per più di quel che valga ».

E questo è il mio, di consiglio :

« Evita di dare consigli alla persona che ami ».

Accetta il consiglio…per questa volta.

Forse il Vajont

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ottobre 9th, 2008 Posted 14:39

Come oggi, 45 anni fa, accadde una sciagura che scosse l’Italia del primo boom economico. Un intero paese, quello di Longarone, fu letteralmente spazzato via. Il computo delle vittime ammonta a circa 2000 morti. Ma è una cifra indicativa. Nessuno sa, in realtà, quanti furono i decessi del Vajont. Forse si trattò di una tragedia annunciata, forse fu un rischio calcolato quello dell’eventuale sacrificio di Longarone e dei suoi abitanti, forse gli stessi abitanti sapevano che qualcosa di spaventoso sarebbe loro accaduto, forse se l’uomo non avesse sfidato la natura, non sarebbe successo niente di quello che successe, il cui più emblematico risvolto consiste nel fatto che oltre la metà delle tombe non ha nome. E la perdita della memoria è forse più atroce della perdita delle radici. Forse è l’unica parola che in questi casi vale la pena di scrivere. Forse.

L’IGNOTO

Voi esseri ambiziosi, ascoltate la storia dell’ignoto
che qui giace senza il segno d’una lapide.
Da ragazzo, temerario e sventato,
mentre giravo per il bosco imbracciando un fucile
vicino alla villa di Aaron Hatfield,
tirai a un falco appollaiato sulla cima
di un albero secco.
Cadde con un rantolo
ai miei piedi, l’ala spezzata.
Poi lo misi in una gabbia
dove visse molti giorni gracchiando con rabbia contro di me
quando gli offrivo il cibo.
Ogni giorno io cerco nei ragni dell’Ade
l’anima di quel falco,
per potergli offrire l’amicizia
di uno che la vita ha ferito e messo in gabbia.

Tratto da « Antologia di Spoon River » di Edgar Lee Masters