RSS

Silvia Castellani

Tra l'essere e il fare, c'è di mezzo il pensare

Archive for marzo, 2011

Ascoltando Alda e poi me stessa – omaggio ad Alda Merini

No Comments »

marzo 29th, 2011 Posted 19:29

Così, qui, resta qui

Il  tempo passa lento nella mia mente

Una voglia d’estate si impone sulla

scena di un film o sul cinguettìo fuori sui tetti o sulla luce,

su tutta questa luce a giorno.

Ho scoperto il mio nome , quello che credo che sia ma non so scriverlo bene.

Il cuore mi batte e il motivo non c’è.

M’agito. Voglio rimanere immobile. Mi piace questa calma dove non c’è niente se non una casa e una tenda da lavare.

Da levare contro voglia. Il vuoto l’ordine mi fanno sentire il controllo.

Ma io lo so che è illusione.

Mi ascolto piano, qui, non c’è fretta, ma quanto potrebbe durare? Mi manca chi mi può indicare, aiutare. Non con le parole. Quelle sono tutte mie e tante ma hanno paura ad uscire, sotto questa luce.

M’agito. Ecco, lo senti il cuore che matto?

Prima parlavo ascoltavo pensavo: ascolta bene il suo ruolo. Interpreta il suo ruolo.

Qual è il mio?

E questa pace che devo abbandonare l’indomani per ritmi che non riconosco. Mi fa paura non ritornare.

Mi fa paura che torno matta, leggesi “normale”.

Alda Merini

Posted in Senza categoria

Per la serie: m’ama non m’ama, ma sì, valà che m’ama

No Comments »

marzo 24th, 2011 Posted 17:38

Prima cosa sotto la doccia (non capisco quelli che se stanno male non si lavano). Retaggio culturale dei tempi che furono? Appunto. Adesso l’Italia è unificata. Ci hanno fatto la festa. Così stasera no teatro, no parti. Anche se io, già l’ho detto ieri, inizio a recitare “Il malato precario orizzontale”. Poi un altro giorno ve lo spiego. Dunque sotto la doccia ho confuso bagnoschiuma e shampoo?… e mi sono lavata la testa con l’offertone di mezzo chilo di Sensual aroma terapy che dentro ha l’olio essenziale della rosa del Marocco. Ho la testa che pare un suk (mercato) e ho preferito non andare dal dottore, un po’ per il dolore, un po’ per la paura che mi reimpatriassero là. Ho “fatto per telefono”, con il dottore, che ha capito tosse, perché anche se non ho detto la parola, era inequivocabile il problema. Ho detto le parole: febbre, peso e tachi…1000. Avanzata. Stasera non vado al primo incontro di Teatro. Il viola non è servito. Due settimane fa stava male il Maestro, poi qualcuno ha deciso che il 17 si festeggiava l’unione magna italica, oggi sto male io. La domanda è: perché non mi chiamo Margherita?

Immagine da google

Posted in Senza categoria

Estratti dal romanzo di Enrico Carrea. Presentazione romanzo in data 30 marzo a Genova

No Comments »

marzo 15th, 2011 Posted 16:41

templare stemma

Bernard è per l’appunto in prima fila vicino a Jacques quando è stato dato l’ordine di attaccare ed aggirare il nemico. Tutta la compagnia s’è quindi mossa come un sol uomo a cercare il contatto col nemico.

Quasi correndo all’impazzata e brandendo la pesante spada, il giovane si è dapprima trovato di fronte un musulmano con un turbante nero, due occhi spiritati ed una lunga barba anch’essa nera.

Con un colpo secco e preciso, gli ha mozzato con ferocia la testa, che il sangue dell’infedele gli ha imbrattato sia la lama della spada che la cotta. Poi ancora, urlando come un invasato, ha freddato altri due nemici, menando colpi all’impazzata. Il quarto lo ha sventrato e quello è caduto ginocchioni, nel vano tentativo di rimettere al loro posto le budella ormai irrimediabilmente fuoruscite, morendo infine nel proprio sangue tra atroci dolori e strazianti lamenti.

Ormai Bernard non è più il ragazzo gentile e benvoluto che tutti conoscono. Ormai Bernard è una belva assetata di sangue che nulla e nessuno potrebbe fermare.

Jacques lo ha visto e ne ha avuto paura. Ben conosce, il vecchio soldato, quelle metamorfosi; molte ne ha viste nella sua carriera, ma mai così potenti e furibonde, tanto che ha deciso di intervenire. Gli si è parato davanti all’improvviso e gli ha appioppato due pesanti ceffoni sulle guance urlandogli:

Torna in te, Bernard, torna in te! E’ tutto finito.

Quello lo ha guardato con uno sguardo stravolto e stralunato, ancora incapace di intendere ciò che Jacques gli stava gridando. Poi, come appena uscito da un incubo cattivo, ha avuto un fremito, si è riscosso e finalmente i suoi occhi hanno visto.

Hanno visto morti e moribondi ricoprire il campo di battaglia, e il sangue arrossare indifferentemente l’erba e i corpi ormai esanimi e senza vita; hanno visto l’orrore di un angolo di inferno che il diavolo, tramite gli uomini, ha voluto portare su quel pezzo di terra così dolce e soave.

—————————————————————————————————

È il pomeriggio di un giorno d’aprile dell’anno del Signore 1154. Un lieve vento di scirocco sta spingendo una possente nave da trasporto verso il porto di Genova. L’imbarcazione, battente bandiera della repubblica genovese, proviene da Malta, e prima ancora da Cipro e Sidone, dove ha caricato sete e spezie per insaporire le tavole occidentali, merci preziose per i nobili italiani e francesi che sicuramente pagheranno fior di dobloni e zecchini per quelle rarità da poco reintrodotte sul mercato occidentale.

Ma a bordo non vi sono solo merci. La nave porta con sé anche un uomo non comune.

Quest’uomo è infatti un Cavaliere dell’ordine dei Templari, ordine già circonfuso da un alone di mistero, che si è diffuso da qualche decina di anni prendendo spunto dalla difesa del Santo Sepolcro e dalla ricerca del Graal, la santa coppa dove si dice che Gesù abbia bevuto il vino mutandolo nel suo sangue durante l’ultima cena con gli Apostoli prima di affrontare il supplizio della croce.

Bernard de Villeroi – questo il suo nome – ha, al momento del nostro racconto, ventiquattro anni ed è nel pieno della sua giovinezza di uomo d’armi e d’ingegno. Non è altissimo, ma ben proporzionato, con capelli neri solcati da qualche primo raro filo bianco, ed occhi, altrettanto neri, curiosi ed irrequieti che svelano un’intelligenza pronta e tanta curiosità. Il corpo infine appare muscoloso e ben scattante, cosa di cui non c’è di che meravigliarsi essendo egli uomo d’arme e provetto cavaliere.

Appoggiato all’alto parapetto della nave, Bernard osserva l’orizzonte e le coste frastagliate della Liguria.

Il suo pensiero corre invece dietro a ricordi che, da tempo celati negli antri più oscuri della sua memoria, riaffiorano vividi nella sua mente come pezzi disparati di un mosaico bizantino.

Quei ricordi sono portatori di una sorta di malinconia mista a nostalgia che rende l’animo del Templare più debole, come se fosse indifeso di fronte al tumulto interiore che questi sentimenti scatenano.

Avete letto degli estratti del romanzo di Enrico Carrea.

————————————————————————————————————–

Il romanzo verrà presentato a Genova mercoledì 30 marzo, alle ore 18.00, presso la Libreria del Porto Antico.

Potete acquistare il romanzo su Lulu. Questo è il link diretto:

https://www.lulu.com/commerce/index.php?fBuyContent=9343297

templari carica

Vi presento Enrico Carrea

No Comments »

marzo 14th, 2011 Posted 17:34

librocarrea

Rispetto al suo libro, Enrico non ha pretese storiografiche come lui stesso dichiara. Tuttavia, ad onor del vero, addentrandosi nella lettura, si ha tutta l’impressione di ritrovarsi immersi nel 1150. Io stessa, dopo un po’ che leggevo e dopo che la mia mente si era abituata a termini oggi inusuali come deicidio, bugliolo, trogolo, mi pareva d’esser in compagnia del Conte di Villeroi, onorato cavaliere templare innamorato di giustizia e verità. E così, senza memoria del momento esatto in cui è successo, Enrico mi ha trascinata nel suo mondo popolato di madamigelle pudiche, di messeri più o meno scaltri, di brutti ceffi, ma anche di uomini compassionevoli e caritatevoli. E ancora, un mondo di nobili, di maestri, di cavalieri templari, di enigmi da decifrare, e misteri di scoprire. E’ successo poi, ad un certo punto, tanto ero coinvolta nella lettura, che mi sia rivolta al prossimo chiedendogli con nonchalanche : « ma dimmi di te, di grazia ». Dico questo, in tono scherzoso, per sottolineare come il linguaggio di questo romanzo sia fondamentale in termini di piacevolezza e leggerezza, quella leggerezza di cui, parafrasando Italo Calvino, sostengo le ragioni. Enrico ha esattamente tolto del peso al linguaggio, che si presenta così fluido, diretto, easy come si usa dire oggi, pur non dimenticando di dare spazio, all’occorrenza, a certe terminologie tecniche, necessarie per conservare la credibilità della narrazione, ambientata appunto nel 1150. Mi sono inoltre chiesta, come spesso succede di chiedersi, quanto di Enrico ci fosse nel protagonista del romanzo, Bernard de Villeroi, e mi sono risposta, una volta giunta al termine del romanzo, che tutti i più nobili sentimenti appartengono ad entrambi, avendo poi avuto modo di conoscere Enrico e, in particolare, il sentimento di gentilezza che lo contraddistingue. Mi riferisco a quella gentilezza d’animo che si confà ad un vero cavaliere, quello di cui si narra in questo libro, ma anche quello che vive dentro ad Enrico. Credo che, oltre agli scenari e alle belle descrizioni dei luoghi e dei personaggi, la vera forza della narrazione di Enrico sia quella di riuscire a trasmettere con un linguaggio semplice un valido insegnamento, in termini di coraggio nell’affrontare la quotidianità. Penso, infine, che questa storia abbia un grande merito : è intrisa d’amore, il più alto sentimento che l’uomo conosca e, permettetemi di dirlo dacché ne son convinta: un libro scritto senza amore, non sarebbe un buon libro. Questo romanzo di Enrico trasuda amore. Amore per la Storia e per la sua storia.

Eccovi un breve estratto, tratto dal romanzo di Enrico Carrea:

Ad un cenno del frate, il brusio della folla cessa e, dopo un attimo di silenzio assoluto, fra’ Guglielmo inizia a parlare:

Fratelli, sorelle, l’inferno è vicino! La vostra carne brucerà per l’eternità nel fuoco perpetuo che mille diavoli cattivi alimenteranno ogni momento per rendere il supplizio di voi peccatori, più acerbo, e fiero, e duro. E voi ve ne state tranquilli a fare le vostre cose e i vostri negozi… Pazzi siete, e ciechi ed incoscienti! Nell’ora della vostra morte ben chiara vi sarà l’ignominia della vostra vita. In preda al rimorso più assoluto, vi torcerete le mani, digrignerete i denti, urlerete per lo spavento e il disgusto, e vi rotolerete nudi nella polvere e nel fango alfin comprendendo la vostra pazzia di avere rinnegato per sempre il vostro Padre più vero, la fonte dell’eterno amore, quel Dio che vi ha messo al mondo solo per amare e non per seguire le tentazioni del demonio.

Ma padre – grida il maniscalco – diteci: c’è speranza di redenzione per noi oppure siamo già tutti dannati?

La piccola folla a quelle parole rumoreggia commentando spaventata la predica di fra’ Guglielmo, ma, ad un cenno imperioso del frate, si tacita nuovamente.

In verità, in verità, vi dico. Tutto l’occidente, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, l’Italia, meriterebbero di essere fulminate dall’ira di Dio per aver permesso che i luoghi sacri che videro la passione di Gesù Cristo, nostro Redentore, fossero di nuovo nelle mani dei musulmani, veri e propri figli di Satana che uccidono, sgozzano, vessano i cristiani, violentandone le donne e riducendo in schiavitù i loro figli. Il Santo Sepolcro, già una volta liberato, è tornato in mano di quegli infedeli che, disconoscendo il vero Dio rivelato dal Vangelo, sono di fatto l’armata del diavolo. Ma Iddio è misericordioso ed ha mandato in terra di Francia un uomo che si appresta ad organizzare una grande armata e a muovere guerra contro i saraceni, turpi servitori del maligno.

Qui fra’ Guglielmo fa una pausa ad effetto, mentre dalla folla dei contadini si levano diverse voci:

Chi è, dicci chi è.

Si, frate, di’ chi è quest’uomo.

Diccelo affinché lo si possa aiutare.

Ad un altro gesto del monaco, tutti si zittiscono nuovamente.

Il nostro re, Luigi VII, è l’uomo che Dio ha scelto per questo compito gravoso. Egli è pio ed è illuminato dalla luce divina che proviene dal nostro massimo Creatore. Conscio della forza delle armate musulmane, ne sta approntando una possente col fior fiore della nobiltà occidentale e siamo certi che sconfiggerà i seguaci di Satana ricacciandoli nel loro inferno donde son venuti. Occorre però che ogni uomo, donna, bambino alzi le sue preci a Dio implorando la Sua misericordia e chiedendogli di seminare la confusione e la discordia nel campo musulmano affinché la vittoria arrida alle armate della Croce e possa al più presto essere stabilito su Gerusalemme un regno cristiano. Orsù dunque, vi aspetto tutti in chiesa per pregare Iddio per la buona riuscita dell’impresa di re Luigi ed allontanare così da noi lo spettro dell’inferno.

Domani verranno qui pubblicati altri due estratti.

—————————————————————————————-

Il romanzo verrà presentato a Genova mercoledì 30 marzo, alle ore 18.00, presso la Libreria del Porto Antico.

Potete acquistare il romanzo su Lulu. Questo è il link diretto:

https://www.lulu.com/commerce/index.php?fBuyContent=9343297

L’indole

No Comments »

marzo 7th, 2011 Posted 20:41

Che si balla- foto di Silvia Castellani
Come adesso, seduta nel mio terrazzino di un metro quadro in cima a un grattacielo, guardo avanti, a metà tra stelle e orizzonte. L’ulivo che cresce fiero, ignaro della sua prigione, di fronte ai miei occhi infossati, mi crea un vuoto dentro. Di quei vuoti che niente hanno a che vedere con la fame di pane. E’ l’indole, la mia indole che reclama la sua attenzione  e mi chiede perché ho deciso di ignorarla. E io, dalla mia mente invio all’indole parole, che dicono non posso, non ora, non qui. Che ci dobbiamo accontentare di quello che abbiamo, di quello che altri ci danno o ci tolgono, senza poter essere noi stessi. Che se fossi felice di un lavoro pregiato come di un vino vecchio, avrei risolto la vita.
Comme maintenant, assis dans mon balcon mètre carré sur le dessus d’un gratte-ciel, avec impatience, à mi-chemin entre les étoiles et l’horizon. L’olivier qui pousse fiers, ignorant de sa prison, en face de mes yeux enfoncés, créant ainsi un vide en moi. Parmi les lacunes qui n’ont rien à voir avec la faim de pain. Et le caractère, mon caractère qui exige son attention et m’a demandé pourquoi j’ai décidé de l’ignorer. Et moi, dans mon esprit l’envoi des éléments de la nature, je ne peux pas dire que, pas maintenant, pas ici. Ce que nous avons à faire avec ce que nous avons, de ce que les autres nous donner ou nous retirons, sans pouvoir être nous-mêmes. Que faire si j’ai été heureux de travailler comme un bon vin vieux, j’ai résolu ma vie.