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Silvia Castellani

Tra l'essere e il fare, c'è di mezzo il pensare

Archive for novembre, 2010

Vieni via con me, nel senso di: resta qui

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novembre 25th, 2010 Posted 12:32

Aspettando Godot

Resto qui perché è più facile e ormai non sono più giovane. A trent’anni non sei più giovane, nonostante sia in voga un malcostume per cui a 60 anni dalle mie parti ti chiamano ancora ragazzo. Le mie parti sono l’Italia e l’eterno ragazzo è uno solo e si chiama Gianni Morandi. Vorrei andare via perché non muore mai in me la speranza di poter trovare altrove un El Dorado. Ma resto qui perché la mia buona esperienza, che è divenuta coscienza, mi consiglia che Godot, a conti fatti, è qui dove sono ora. Resto anche per gli affetti e i sentimenti e credo che, in fondo, siano sempre quelli ad avere la ragione. Vorrei andare via perché troppi intorno a me sono sempre pronti a lamentarsi, ma pochi hanno il coraggio di cambiare le cose che non vanno. Spero un giorno di essere uno di questi ultimi. Dico uno e non una, anche se sono una donna, perché fatico ad accettare il concetto di genere. Sento parlare spesso di problemi e lotte di genere. Scusa, di che genere? E’ una battuta infelice, lo so, ma vuole essere una provocazione forte perché fatta in una giornata particolare, quella internazionale contro la violenza sulle donne. Vuole essere soprattutto di buon aspicio a questo: pensare tutti sopra ad ogni genere, ad ogni parte; pensare anzi sentire in termini di persone. E’ utopia? Resto qui non perché mi accontento. E’ sbagliato accontentarsi. Poi finisce che ti affezioni alla miseria delle cose. Resto qui perché ci sono delle persone, quelle di prima, che mi danno la forza di opporre “Resistenza”. Vorrei andare via io? No, più lo scrivo per ipotizzarlo, più mi attacco a questo presente qui, in questo Paese che non è pizza, mafia e mandolino. Quella è un’immagine sfuocata, una percezione distorta che ha fatto non si sa come il giro del mondo, perché a fare il giro del mondo sono le voci che vogliamo che facciano il giro del mondo. Dobbiamo cambiare le voci, diffondere parole nuove. E questo, in realtà, non è un elenco, e nemmeno un volere trovare ragioni per andarsene o rimanere. Questo è un atto d’amore per un Paese che non è né bello né brutto. E’ un Paese che forse ancora non c’è. E che perciò bisogna costruire. Ma prima, però, lo dobbiamo immaginare. E siccome sono donna, giovane e amo le sfide difficili, resto qui.

Divorare evanescente di Andrea Urbani

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novembre 13th, 2010 Posted 12:25

Bianconiglio

In un giorno di pioggia di fine agosto parte un andare in presa diretta, una specie di “stream of consciousness” per dirla con Joyce, ma con più punteggiatura………………………………………………………………………………………………….

Intravedo davanti a me la sagoma sfuggevole, evanescente, quasi eterea del bianconiglio…ha appena riposto nella tasca l’orologio e saltella veloce su di un tappeto di fiori ed erba, diretto verso una siepe lontana…di colpo scompare inghiottito dalla bocca spalancata della sua tana…lo inseguo rapito senza domandarmi se è realtà o fantasia…ma i profumi dei fiori sono veri nella mia mente, ed anche la siepe di rovi e more mature che avvicino a grandi balzi lo è…e pure la giacca di tweed che indossava il coniglio bianco con gli occhi rosa era di taglio raffinato e di classe…perché dubitare dei miei occhi e della mia mente? Giunto vicino alla tana, intravedo una porta blu nella siepe, invitante, suadente, tranquillizzante…ma gli occhi mi corrono al buco oscuro che diffonde un bagliore rosso sangue…la terra smossa attorno pare un soffice guano (”dal letame nascono i fior” scrisse un poeta che non c’è più, ma che resterà per sempre immortale) e lo sfintere da cui è stata generata, invece di rappresentare una nera cloaca, spande odori/imuforp invitanti…le stesse orme di piedi (zampe?) dell’animale (animale?) emanano un afrore che dovrebbe deflettere ed invece invita sottile ad essere adorato…un ultimo sguardo al blu della porta e poi giù…giù nell’intestino del pianeta (o è la bocca??? oppure un altro orifizio???) Mentre l’udito percepisce una voce mielosa ma ferma, giocosa ma decisa, adolescenziale ma imperativa…un salto e le pareti viscide del tunnel mi accolgono, le mani che scivolano e sfiorano il ventre umido, gocce mi bagnano ovunque…acqua che rifluisce o sgorga, lacrime salate, viscosa saliva o acre urina…e libri e mappe e cibi e bevande tutto intorno e una musica negli orecchi (pulsante e ipnotica..”First Snow”…prima neve…in una tana???) Un’ immagine in divisa, una fascia rossa e una Stella di Davide (perchè chi sta ghettizzando i palestinesi a Gaza sono proprio gli stessi che di ghetti furono vittime), una nera maschera lucida, cosce intraviste a breve…morbide e turgide…pensieri e immagini sempre più voraci…fino a una soffice caduta su un mucchio di…foglie? merda? indumenti intimi guarniti di pizzi e ricami di fiori? Non lo so ancora questo…non lo so…ancora…

Alice di carta

Non intendo perdere il bianconiglio…perciò proseguo al suo inseguimento…per vedere quanto è profonda la sua tana…fino a una soffice caduta su un mucchio di…sangue…sono atterrato nel sangue…sangue di chi in questa caduta a capofitto in un mondo dove nulla è come sembra, cercava invece i sicuri appigli del suo essere stato “allevato in società”…cercava porte blu che qui non ci sono…il sangue mi invischia, è umido, caldo in superficie, rappreso ed orribilmente gelatinoso sotto il primo strato…è sangue arterioso e venale, mestruale e animale…osservo le mie mani vermiglie, vorrei quasi assaggiare quella che sembra una marmellata di amarene, colata da un barattolo fatto di carni ed ossa…ma un rumore mi distoglie lo sguardo…lo vedo…lungo il corridoio…giacca di tweed e zampette pelose vagamente caprine…”ho fatto tardi, tardi, tardi” e via sparisce, scartando di lato come un cavallo scosso al Palio…corro più che posso, oltrepasso porte chiuse…nessuna si apre…ho quasi la sensazione di sentire una risata beffarda e felina da dietro di esse…giungo infine ad un piccolo tavolino traslucido su tre zampe…sopra di esso una piccola chiave…sembra la chiave che chiude un collare…oppure manette di cuoio…un piccolo drappo viola ondula mosso da un vento che non c’è…mi avvicino…adrenalina a mille…sento il cuore che pompa e una sensazione vibrante mi percorre il corpo fino ai genitali…scosto il drappo…cosa troverò al di là?

Alice e la chiave

Uno specchio…dietro al drappo c’è uno specchio. Lo osservo…mi vedo riflesso per la prima volta da quando questo inseguimento è iniziato…gli abiti che indosso sono lordi di fango e grumi rossicci, ho i piedi scalzi, il viso sporco e irriconoscibile, lo sguardo è un misto di curiosità e stupore emotivo. Rifletto di fronte al mio corpo riflesso…mi trovo nell’utero umido della terra, tornato feto, coperto di sangue, dopo avere inseguito un coniglio con la giacca e l’orologio da tasca…con la coda dell’occhio colgo un movimento improvviso…NON SONO SOLO…tutti i peli del mio corpo si rizzano contemporaneamente, mentre un brivido mi scuote la spina dorsale…una fugace apparizione alle mie spalle…ho intravisto solo una maschera bianchissima, inespressiva…con occhi senza orbite…un sinistro scricchiolio ed il rumore di passi (tacchi?) che si allontanano…mi volto di scatto…una delle porte che credevo chiuse deve essere aperta…ma quale? Il corridoio da cui sono provenuto non è il solo che porta a questa stanza…la stanza è un poligono con un numero incontabile di lati e ad ogni lato si spalanca un corridoio con un numero incontabile di porte…una porta è aperta…si…ma quale???? In quale dei corridoi si trova???? Qual’è il corridoio da cui sono venuto???? Il terrore mi paralizza…la mia sanità mentale vacilla…mi accascio al suolo in preda a spasmi incontrollati raccolto in posizione fetale…non voglio chiudere gli occhi…non ora…ora tutto è silenzio…assoluto, totale…tombale. Il mio udito si attiva alla ricerca dei rumori mentre lo sguardo ruota tutt’intorno osservando i corridoi…uso le mani per risollevarmi e le dita sfiorano un oggetto sul pavimento…la chiave… Guardo per la prima volta con attenzione la chiave…è piccola, quasi scompare nella mia mano…non sembra adatta per aprire la serratura di una porta…è appiccicosa…l’odore ricorda qualcosa di commestibile…mentre la tengo nel palmo e la osservo…mi cade…ma non sento il tonfo sordo sul pavimento…bensì un tintinnio cristallino…il tavolino…la chiave è sopra di esso…ma non c’è soltanto quella…ora c’è anche un cappuccio nero e un biglietto vergato a mano posato su di esso…l’inchiostro è fresco…rosso vermiglio…anche il biglietto è appiccicoso…ed emana lo stesso aroma della chiave…c’è scritto soltanto “indossalo”…il cappuccio è di pelle nera, con alcune borchie e fibbie, un apertura per gli occhi con una mascherina che può celarli, ora sollevata, e una per la bocca…non penso di avere alternative…indosso il copricapo…all’interno nuovamente il profumo del biglietto e della chiave…il contatto diretto con il naso mi fa capire infine di che si tratta…prugne secche…una risata oscena mi sorprende alle spalle…lo specchio improvvisamente si spalanca e rivela dietro di se una stanza…è una cucina…

Testo di Andrea Urbani

Le immagini sono state prese da internet attraverso google immagini. Se qualcuno le riconoscesse come proprie e non ne volesse l’uso da parte di altri (il che mi pare difficile, trovandosi le stesse in rete, ma comunque la gente è strana, si sa), è pregato di comunicarcelo e le rimuoveremo.