RSS

Silvia Castellani

Tra l'essere e il fare, c'è di mezzo il pensare

Archive for agosto, 2010

Siamo un gruppo, notizie dal mondo e un ufficio di collocamento di notte (2° parte)

No Comments »

agosto 27th, 2010 Posted 20:15

Devo andare, diceva lei, o forse lo pensava solo…. Io devo rispondere a quel telefono, si ripeteva nella mente. E invece niente, nel sogno ha lasciato tutto lì, il suo capo, il telefono, la fila di gente. E’ andata con lui com’era logico, come era possibile, l’unica scelta giusta. Hanno parlato seduti in quel bar, lei forse un po’ troppo timida rispetto alla realtà, e c’era un’amica di lui seduta al tavolo che raccontava « vedi ora esce con un’altra, una mia amica, ma emozioni come con te non le ha più provate. E’ una questione d’intensità ». Ma quella non era la fidanzata prima, quella dopo di me, ragiona lei che sogna, e perché parla di quella venuta dopo senza nessun coinvolgimento? Lui in tutto questo parlare e pensare altrui, tace, la guarda soltanto, lei pensa anch’io. Poi fa per tornare al lavoro, ma sale su un ascensore da sola, vuole salirci lei da sola che c’è poco spazio e ha bisogno di concentrazione. E’ ancora innamorata, anche se ha fatto di tutto per toglierselo dalla mente. Così torna indietro e lui è ancora lì, al bar al piano terra, l’ufficio di collocamento in alto che collochi qualcun altro. Lei vuole solo perdersi, rimanere senza un posto, sciolta tra le braccia di lui. Quelle labbra le conosce bene, solo ieri sera in tv le ha viste addosso a uno e ha pensato « sono quelle di lui », e ancora i capelli, gli occhi, il naso, è tutto perfetto, così familiare. Se il tradimento fosse reale, pensa nel sogno, lo farebbe lo stesso. E’ stanca del gelo della sua vita, della coltre bianca che le copre l’anima e la anestetizza. La sveglia è suonata, suo marito si è alzato nel cuore della notte ed è andato a lavorare. Fa il camionista e oggi deve partire per un viaggio lungo. Va verso nord. Lei l’ha salutato come fa di solito, con un bacio e un buon lavoro, poi appena lui ha chiuso la porta, ha chiamato l’uomo del sogno, quello con la maglietta rossa. Lui ha risposto al telefono, ha detto solo “sei tu,” dopo anni che non si sentivano. Lui sapeva che lei sarebbe tornata e l’ha aspettata con pazienza. Non riuscivano a dirsi, il come e il cosa,  e così hanno deciso di incontrarsi subito, nella notte, per passeggiare sotto la neve. Il viale è quello alberato, quello con i lampioni alti, quello con gli alberi immensi. Loro visti dall’alto paiono una cartolina d’altri tempi e si baciano. Alle prime luci, lui la riaccompagna a casa con una promessa. Lei non dice niente, sorride e bastafirma_silvia_1.

Posted in Senza categoria

Protetto: Cosa vuoi che sia un pensiero

Inserire la propria password per visualizzare i commenti

agosto 27th, 2010 Posted 19:48

Questo post è protetto da password. Per leggerlo inserire la password qui sotto:


Posted in Senza categoria

Per le strade di Parigi e più a nord

1 Comment »

agosto 6th, 2010 Posted 15:39

Donuts

Mi porterò dietro, nella mente, di questo viaggio a Parigi e più a nord, la bambina che alla stazione voleva il mio ombrello rosso, il vecchio marinaio che non si rassegnava a non esser più tale, nonostante il mondo scorresse veloce accanto a lui e i tempi si fossero evoluti a tal punto da non vederlo più. Mi porterò il suonatore di arpa nella chiesa, che vendeva le proprie canzoni ai turisti e suonava come fosse la cosa più seria del mondo. Mi porterò le due anziane sorelle o amanti, chi lo sa, vestite da ragazze alla moda, con le borse uguali a tracolla, camminare per le strade grandi; e i settanta euro spesi in cioccolata, il mini-barbecue a forma di mappamondo e le foto dove vengo male, malissimo. NONOSTANTE MI SFORZI DI ADATTARE LA MIA FACCIA A UN’IMMAGINE CHE DURI . Di questo andare mi porterò il fatto che a Parigi un croissant non lo trovi di certo appena uscita dall’albergo e magari devi camminare due chilometri prima di incontrarlo, così succede che ti rassegni e vai da Starbucks dove sei tentato di mangiare un donut, PERO’ ALLA FINE LASCI TUTTI QUEI COLORI ALLA VETRINA che lo sai che è meglio stiano lì, più che nel tuo stomaco. Mi porterò di tutto questo viaggio quel meraviglioso perdersi per le strade di Parigi sorvegliata a vista dalla torre Eiffel cercando di fotografarla sempre, di rubarla con te sotto o senza, amore, che tanto è uguale. Anche se non sei riuscita a salirci e a guardare giù, perché la fila era lunga lunghissima e avresti rischiato di perdere la stabilità mentale a seguirla. E le bolle di sapone fatte con i fili, allontanarsi su dal secchio, e gli artisti d’occasione fatti con lo stampo, come quell’arte più moderna fatta con distacco. E le frasi dette al vento, e fra i denti, perché nessuno le potesse ascoltare. Mi porterò nel cuore quel perdersi nell’oblio di un posto bello, dove vivere sembra difficile, dove tutto è sconosciuto e tu per prima a te stessa, e non importa quale sarà il prossimo imprevisto, perché sulla metropolitana per forza devi salirci, se vuoi perdere l’orientamento. Mi porterò la pancia gonfia, le tasche vuote e il fare finta di riuscire a farcela sempre, a camminare, nonostante tutto faccia credere il contrario, soprattutto le gambe, che non vogliono più seguirti. Mi porterò tutte le persone così diverse, di tante etnie, che ho visto così perfettamente parigine che a un certo punto mi sono detta: va a finire che in questa città non ci sono nemmeno i piccioni nelle piazze. E invece quelli ci sono sempre e sempre grassi, pronti a planare sulla briciola ribelle che abbandona il tuo panino. LA STATUA DELLA LIBERTÀ, anche quella mi porto dietro; era nel posto sbagliato e la signora seduta accanto mi raccontava di venire dall’America, MA NON NEW YORK, NO CALIFORNIA, I came from Kentucky. LÌ CI SONO MANY HORSES. I gargoyles no, non li ho visti e la mia stanza era al settimo piano affacciata sul cimitero di Montmartre con tutte quelle fresche lapidi in bella vista. Che vista da lassù! E quanta vita. La Dolce Vita ovunque e tanto di quell’oro da rimanere senza fiato. I mulini, non solo quello rosso in una via ormai tanto battuta da far sorridere anche i più scettici, anche quelli che una volta a Pigalle avrebbero passato guai seri. Scarpe messe a stendere come in tutte le città universitarie del mondo, un allucinato davanti a un organetto. Mi porterò del Belgio le casette di marzapane e la pioggia persistente ad agosto, l’Atomium e il giro del mondo che si è fermato al Nettuno, la reliquia di Bruges o Brucas come la chiama la tipa argentina, che non ho neanche capito cosa fosse, ma ci ho messo la mano sopra e so che mi guarirà da tutte le malattie. La Madonna col bambino di Michelangelo e bestemming Eupen fino a un castello rosso che continuavo a fotografare senza accorgermene. Mi porterò l’allontanamento da questo computer e da facebook e la sensazione che Dalì ci aveva visto giusto nella definizione de LA METHODE PARANOIAQUE CRITIQUE. Non ho visto il Louvre, non ho camminato per i Campi Elisi, il Sacro Cuore l’ho apprezzato poco e male per mancanza di tempo e la Senna l’ho notata da lontano come pure da lontano ho avvertito il respiro di Renoir. Perciò, Parigi, arrivederci a presto. Doris Lessing scriveva: “è terribile fare finta che sia di prima qualità ciò che è di seconda. Fare finta di non aver bisogno d’amore quando ce l’hai. O che ti piace il tuo lavoro, quando sai che sei capacissimo di fare ben altro”.