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Non esageriamo. Ma cerchiamo di minimizzare. Oppure (meglio) di fare qualcosa
ottobre 29th, 2008 Posted 23:56
Suono al campanello di un’ agenzia di comunicazione dove un paio di settimane fa ho lasciato il curriculum. Suono perché sto passando di lì e perché quello che so e voglio fare, è comunicare. Buonasera, dico, e mi presento. Spiego in dieci secondi cosa vorrei. Vorrei parlare de visu con un responsabile, vorrei prendere un appuntamento per un colloquio, vorrei qualcosa di umano. La porta non si apre. Un babbuino dislessico e snob emette suoni attraverso il citofono: “no, ora, non so…non è…Guardi le conviene chiamare”. Conviene a chi? penso. Dico, con la bocca appiccicata al citofono con lo scemo dentro: “senta, non è possibile fissare un appuntamento ora?” “No, guardi, per ora, ecco diciamo che le conviene chiamare”. E due. Questo non ha idee in testa, ma solo la promozione del supermercato vicino a casa sua dove fare la spesa di sicuro gli conviene. Guardo la strada fradicia. Piove. Sono tentata di dirgli: “d’accordo. allora adesso ci salutiamo e salutiamo anche il citofono e poi prendo il cellulare e fra un minuto ti chiamo da questo marciapiede per fissare un appuntamento con il responsabile, se questo cavolo di telefonata ti cambia la vita”. Poi, questa volta in tre secondi, con la porta rimastami chiusa in faccia, decido che non voglio rispondere all’incapacità di comunicare con uguale moneta. Salgo al volo sull’autobus e dopo qualche minuto l’autista ferma il mezzo (attenzione. ho detto “il mezzo”) e dice: “Signori, attenti ai portafogli. Ho visto dei movimenti ben strani”. Ovazione. Per la comunicazione dell’autista. Una donna che dice: “proprio così. ho ben visto io”. E ma allora sei fetente, donna. Cosa aspettavi, la comunicazione dell’autista? Paura di prendersi una coltellata. Può ben darsi. Ben ben. Beng beng. Torno all’accampamento militare (vedi il post “Basta poco”) e mentre cammino ascolto cosa si dicono gli altri intorno a me. Le donne, visto che è buio, tendono ad accelerare la camminata quando sentono un passo pesante alle spalle come quello prodotto dai miei stivali, per esempio. E alcune si voltano. Altre camminano con la testa bassa, perché ora sono in periferia e non c’è quasi più nessuno in giro. Anche se non è tardissimo. Vicino alla chiesa noto un bambino con una chitarra a tracolla. La madre, che lo accompagna, gli sorride. Penso che esistono piccoli bagliori di luce qua e là. Io li vedo e sono certa che un giorno l’arte ci salverà tutti. Nonché la vera comunicazione, come quella dell’autista di autobus.
Tags: fare qualcosa, la vera comunicazione, periferia
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