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Silvia Castellani

Tra l'essere e il fare, c'è di mezzo il pensare

Dati di coscienza alla mano

Hanno dato fuoco a un barbone. Mentre stava dormendo su una panchina, a Rimini. Hanno dato fuoco a un senzatetto, un homeless, un clochard, un barbone. Chiamalo come vuoi. L’importante è che tu capisca il concetto: gli hanno dato fuoco. Ma chi? Chi ha dato fuoco al barbone? Boh. Non si sa. Non si sa ancora o non si sa? Boh. Non si sa. Punto. Il senzatetto ha un nome. Si chiama Andrea. Ora non vale più la regola “chiamalo come vuoi”. Ora che sai come si chiama, lo devi chiamare col suo nome, Andrea. Ne prendo atto. Prendo atto che hanno dato fuoco ad Andrea. Poi, penso a quanto la notizia mi sconvolga. Il mio codice morale mi suggerisce che dovrei essere incazzata. E molto. Così mi guardo dentro per capire cosa provo. Esattamente. Ma cè una sorta di schermo intorno a me. Esattamente. Temo possa essere indifferenza. Decido di andare avanti. Oltrepasso lo schermo che è come una spessa coltre di nebbia che vuole anestetizzarmi. Perchè le brutte notizie sono troppe e allora vedi di farne rimbalzare alcune. Cosa vedo al di là della coltre di nebbia. Vedo che esistono ancora persone che non possono o non sanno difendersi e altre che si permettono di attaccarle. Che esistono i forti ed esistono i deboli e che questi ultimi sono condannati a pagare. Che la giustizia è un ideale troppo nobile e che ancora troppi esseri umani non sono all’altezza di rappresentarlo. Che il rispetto è un optional e il diverso è percepito come un nemico, un peso, un elemento da eliminare, distruggere, annientare. Non sempre, ma spesso. E non me ne frega niente, adesso che è successo il fattaccio, di pronunciare frasi fatte. Voglio solo andare a fondo. Voglio arrivare alla mia coscienza. Credo di esserci arrivata ora, perchè penso. E mentre penso, mi rendo conto che mi sto incazzando. E molto. Sento di essere colpevole. Colpevole per tutte le volte che potendo fare qualcosa, ho usato indifferenza per il mio prossimo. Colpevole di pensare che sarò sempre impotente di fronte al male. Colpevole di non fare abbastanza per reagire alla stupidità di certi miei simili. In qualche modo, dati di coscienza alla mano, sto pensando a tutto questo. In qualche modo mi sto incazzando di brutto. In qualche modo sto dicendo no alla coltre di nebbia che mi circonda. In qualche modo, insisto a pensare. E se insisto a pensare significa che sono sulla buona strada per cambiare le cose.

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This entry was posted on mercoledì, novembre 12th, 2008 at 15:35 and is filed under Senza categoria. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

2 Responses to “Dati di coscienza alla mano”

  1. Lu
    13:01 on novembre 13th, 2008

    non sei l’unica…che potendo fare qualcosa, per un motivo o per un altro passa oltre e finge di non vedere. Ma anche essere in tanti non scrimina la nostra colpa anzi..la acuisce. Andrea non faceva del male a nessuno..ma evidentemente disturbava la vista a quei criminali (perchè non si possono chiamare persone e/o uomini) che hanno deciso di fargliela pagare.
    La comunità, dicono i giornali, è sconvolta…la comunità…solo ora si sconvolge…ora che il fattaccio è stato compiuto, e se vogliamo dirla tutta..a pochi passi da una Chiesa. L’Autorità dice che più volte gli avevano offerto un riparo..e lui l’aveva rifiutato. Così mi viene da pensare che il modo migliore di lavarsi la coscienza è scaricare la colpa sugli altri..e mi incazzo sempre più.
    Spero tanto che Andrea si riprenda al più presto e capisca che non è più il caso di fidarsi del prossimo e decida di porre fine al suo girovagare..ma solo lui potrà decidere.
    Spero tanto che se davvero qualcuno ha visto il fattaccio avvenire..si arrivi ai colpevoli del gesto più vile del mondo…offendere un indifeso..
    Spero si che qualcuno paghi…ma in fondo so che chi ha pagato..è solo Andrea. E la colpa è un pò di tutti noi..

  2. Silvia Castellani
    15:51 on novembre 13th, 2008

    Pienamente d’accordo fino alla parola Chiesa. E’ una battuta, ovviamente. Quello che penso: che ci piaccia o no, siamo costretti a fidarci degli altri perchè, parafrasando una vecchia canzone, “gli altri siamo noi”.

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