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Silvia Castellani

Tra l'essere e il fare, c'è di mezzo il pensare

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Scusi, africano!

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marzo 10th, 2009 Posted 17:17

E’ successo ieri, alla stazione. Stavo facendo il biglietto, quello di un treno che poi ho preso e mi sa che, una volta tanto, son salita su quello giusto. Insomma stavo in fila e aspettavo il mio turno. Davanti a me, un ragazzo di colore e dietro, due orientali. Attenzione, perchè se specifico la nazionalità è importante. A un certo punto arriva uno non autorizzato. Si piazza vicino al ragazzo di colore e gli dice: “scusi, africano!” e dopo averlo scostato con la mano, inizia lui a parlare col bigliettaio.

1) il ragazzo di colore avrebbe potuto benissimo essere americano per quanto mi riguardava.

2) se il non autorizzato (a stare al mondo) si fosse rivolto al ragazzo di colore nel seguente modo “scusi, sporco negro!” sarebbe stata praticamente la stessa cosa.

3) se fossi stata io il ragazzo di colore, avrei colpito il non autorizzato (a stare al mondo, sempre) dritto in faccia senza proferire parola. Perchè hai voglia a dire di non rispondere alle provocazioni ma, come direbbe Marco Masini, è un Paese l’Italia che ci ha rotto i coglioni specie su certi temi come il razzismo e la violenza.

4) se fossi stata il bigliettaio, avrei liquidato il non autorizzato (a stare al mondo, da qui non si scappa) dicendogli con scarsa considerazione, di mettersi in fila.

5) se fossi stata io, o meglio, in me, sarei intervenuta, pur non richiesta, a fare l’avvocato difensore. Ma ieri non ero io, porca miseria, non ero in me, perchè dovevo prendere questo treno giusto nei successivi cinque minuti che sarebbero intercorsi dopo l’episodio di razzismo e io quel treno sentivo che non potevo perderlo. Della serie: ieri dovevo proprio optare per un sano egoismo.

Così, insomma, nessuno ha fatto un cavolo, e il razzismo ha segnato indisturbato un altro punto. Che poi, non è finita lì: sono corsa sul binario del treno giusto e mentre salivo, la porta scorrevole che pesava non so quanti chili, si è sbloccata e mi stava schiacciando e indovinate un po’? Nessuno faceva un cazzo. Poi però, quando qualcuno si fa male, allora sono in mille ad accorrere. E comunque, mentre la porta del treno mi stava travolgendo, ho urlato cattivissima al cretino alle mie spalle: “te non fare niente, eh, mi raccomando!” Volevo anche rifarmi per il senso di colpa causatomi dal non essere intervenuta contro il non autorizzato (a stare al mondo e ormai l’abbiamo capito). Così, in chiusura del tutto, ho borbottato, rivolgendomi sempre al cretino: “africano che non sei altro!” Speravo che mi rispondesse, davvero, perchè sarebbe stata una soddisfazione mettere su una di quelle difese ridicole del tipo: “Suvvia, non pensi che il mio volesse essere un insulto. No, è un modo per riprendere una peculiarità di quel bellissimo popolo che nel mondo è tanto amato ovvero la lentezza d’azione che è risaputa, no?”

Ma qui il problema vero è che manca la voglia di discutere per cercare di difendere i propri diritti e quelli degli altri. Il problema è l’atteggiamento di rassegnazione diffusa rispetto alle cose che non vanno. Il problema è starsene a guardare, o a sopportare, che tanto prima o poi ci penserà qualcun altro a fare qualcosa o che tanto è inutile fare qualcosa che sarà sempre così. E invece basta. E’ ora di autoresponsabilizzarsi socialmente e di passare alla condivisione dei problemi, praticamente è ora di pensare che io sono te e tu sei me. Farci i cazzi nostri di fronte alle ingiustizie, per essere chiari, ci porterà ad una involuzione.

Morale ironica (giusto per sdrammatizzare il proclama sopra per la solidarietà sociale): le ferrovie dello stato sono puntuali nel mantenere le promesse e ieri hanno lavorato per me!